
Dialetti Giapponesi: Sono Tanti e difficili Come Quelli Italiani?
22/11/2025Quando in Italia si parla di samurai, l’immagine dominante è quella del guerriero solitario armato di katana, guidato da un codice d’onore assoluto e pronto a morire in ogni istante. Questa rappresentazione molto semplificata, è il risultato di cinema, letteratura moderna e cultura pop.
La realtà storica dei samurai, ricostruita attraverso fonti giapponesi, cronache militari (gunki monogatari), documenti amministrativi e tradizioni ancora vive, racconta invece una storia molto più lunga, complessa e mutevole.
I samurai non furono sempre spadaccini, non combatterono sempre e non vissero tutti nello stesso modo. Furono una classe sociale in continua trasformazione, capace di adattarsi ai cambiamenti politici, militari ed economici del Giappone per oltre sette secoli.
Il significato di “samurai”: lingua, scrittura e identità
Il termine samurai in giapponese si scrive con il kanji 侍, si legge さむらい (samurai) ed è spesso tradotto in modo impreciso come “guerriero”. In realtà, il significato originario del kanji rivela molto della vera natura storica di questa figura.
Il carattere 侍 è composto dal radicale della persona (亻) e da un elemento che indica lo stare accanto e servire. Deriva da forme verbali antiche come saburau, che significavano “servire qualcuno da vicino”.
Nei testi più antichi, quindi, il samurai non era definito dalla spada, ma dal suo ruolo di servitore armato al servizio di un superiore. Solo con il progressivo indebolimento del potere imperiale e l’ascesa delle famiglie militari provinciali, tra il periodo Heian e Kamakura, il termine iniziò a identificare una vera e propria classe guerriera.
Non a caso, per secoli samurai convivrà con il termine bushi (武士), che enfatizza l’aspetto militare, mostrando come identità sociale e funzione bellica non fossero inizialmente sovrapposte.
Samurai: l’evoluzione storica
Le origini: arcieri al servizio dei clan
I primi samurai emersero tra il IX ed il XII secolo, quando il controllo imperiale sulle province si indebolì e i grandi proprietari terrieri iniziarono a mantenere guardie armate per proteggere terre e raccolti. In questa fase iniziale, il samurai era prima di tutto un combattente a cavallo armato di arco.
L’arma simbolo non era la katana, ma lo yumi (弓), un arco lungo e asimmetrico progettato per l’uso a cavallo. Le prime guerre tra clan prevedevano scontri in cui i guerrieri dichiaravano nome e lignaggio prima di combattere, una pratica documentata nelle cronache medievali giapponesi come l’Heike Monogatari.
La tradizione sopravvive ancora oggi nello yabusame, il tiro con l’arco a cavallo praticato nei santuari shintoisti come rito sacro, non come semplice rievocazione storica.

Consolidamento del potere (periodo Kamakura, 1185–1333)
La svolta decisiva nella storia dei samurai avvenne con le guerre Genpei (1180–1185), una lunga lotta tra i clan Taira e Minamoto che si concluse con la vittoria di Minamoto no Yoritomo.
Nel 1192 Yoritomo fu nominato shogun (“comandante in capo”, ovvero generale supremo) e trasferì il centro del potere da Kyoto alla città di Kamakura, dando vita al primo shogunato militare giapponese.
Questa nuova istituzione, chiamata bakufu, fondava la sua autorità su una rete di vassalli guerrieri (gokenin) e su un sistema di obblighi militari e di fedeltà simile a quello dei feudatari europei.
Il potere imperiale, pur rimanendo formalmente al centro, divenne simbolico, mentre quello reale passò nelle mani dei samurai e dei loro leader.
Durante il periodo Kamakura la classe guerriera fu organizzata in modo più strutturato, con codici di lealtà e norme che regolavano il rapporto tra signore e vassallo, anticipando ciò che poi diventerà il concetto di bushidō — la “Via del Guerriero” — anche se questo non fu ancora completamente codificato.
Conflitti e frammentazione (periodo Muromachi 1336–1573)
Con la caduta dello shogunato di Kamakura nel 1333 e l’instaurazione della dinastia Ashikaga (shogunato Muromachi), il Giappone entrò in una fase di instabilità politica ed incremento delle guerre interne.
I vari daimyō (大名), signori feudali locali, lottarono per il controllo territoriale e politico in un periodo che culminò in quello detto delle “Guerre degli Stati Combattenti” (Sengoku, 1467–1600).
In quest’epoca i samurai erano l’élite militare imprescindibile su ogni campo di battaglia. L’evoluzione delle armi e delle tattiche di guerra, con la diffusione di nuove tecnologie come le armi da fuoco (particolarmente dopo il contatto con i portoghesi nel XVI secolo), rese sempre più importante la capacità di adattamento dei samurai alle nuove forme di combattimento.
Pax Tokugawa e trasformazione sociale (periodo Edo, 1603–1868)
Con l’ascesa di Tokugawa Ieyasu e la vittoria decisiva nella battaglia di Sekigahara (1600), fu stabilito un nuovo e duraturo shogunato a Edo (l’odierna Tokyo).
Grazie al nuovo shogunato iniziò un periodo di oltre duecento anni di pace relativa. In questo lungo periodo di pace, molte delle funzioni tradizionali del guerriero caddero in disuso nella pratica quotidiana.
I samurai mantennero il loro status sociale elevato, ma spesso divennero burocrati, amministratori locali o insegnanti piuttosto che combattenti attivi. La spada divenne sempre più un simbolo di classe e distinzione più che un’arma da guerra comune.
La società fu strutturata in caste rigide (samurai, contadini, artigiani e mercanti) e i samurai costituivano l’élite governante, spesso vivendo in condizioni economiche modeste nonostante il prestigio formale del loro ruolo.

Declino e fine dell’era samurai (Restaurazione Meiji, 1868)
L’arrivo dell’era Meiji, a partire dal 1868, portò profonde trasformazioni nel Giappone.I potere fu riportato all’imperatore e fu avviata una serie di riforme per modernizzare lo Stato, includendo l’abolizione delle classi feudali e della carica di samurai come casta militare privilegiata.
La creazione di un esercito nazionale moderno, basato sulla coscrizione, rese obsoleta la figura del samurai come combattente d’élite.
Le armi da fuoco e le nuove strategie militari finirono di sostituire il tradizionale ruolo dei guerrieri, segnando la fine della loro esistenza istituzionale.
Com'era la vita di un Samurai?
La vita quotidiana dei samurai era molto meno epica e molto più regolata di quanto suggeriscano i racconti moderni. Per lunghi periodi della storia giapponese, soprattutto durante l’epoca di pace del periodo Edo (1603–1868), la maggior parte dei samurai non combatteva affatto.
Vivevano in quartieri riservati all’interno delle città castello (jōkamachi), spesso in abitazioni modeste, e ricevevano uno stipendio fisso in riso, che rappresentava sia la loro retribuzione sia un simbolo di status.
La rendita, però, rimaneva invariata nel tempo, mentre il costo della vita aumentava, costringendo molti samurai a vivere in condizioni economiche difficili e talvolta indebitarsi con mercanti, ufficialmente di rango inferiore. Il loro ruolo quotidiano era quello di amministratori, funzionari, scribi, giudici locali o insegnanti, incarichi che richiedevano alfabetizzazione, conoscenza del diritto e disciplina morale più che abilità militare.
L’addestramento continuava comunque a far parte della loro identità: i samurai studiavano l’uso delle armi, ma anche la calligrafia, la poesia, la filosofia confuciana e lo Zen, considerati strumenti essenziali per coltivare autocontrollo e lucidità mentale.
La vita era scandita da regole rigide sul comportamento, sull’abbigliamento e persino sul modo di parlare, poiché il samurai doveva incarnare un modello di compostezza e dignità. Anche la famiglia seguiva codici severi: l’onore del casato aveva la precedenza sull’individuo, e la lealtà al proprio signore era un valore superiore agli affetti personali.
In questo contesto, la spada, sempre portata ma raramente usata, diventava soprattutto un simbolo identitario, più che uno strumento di guerra, rappresentando il peso di una tradizione che molti samurai furono chiamati a sostenere in silenzio, lontano dal campo di battaglia.

Donne samurai: esistevano?
Accanto ai samurai uomini esisteva una realtà storica spesso trascurata, quella delle donne della classe guerriera, note in Giappone come onna-bugeisha (女武芸者).
Si trattava di donne che appartenevano alle famiglie samurai e che ricevevano un addestramento mirato, soprattutto nell’uso della naginata, un'arma particolarmente versatile, simile ad una lancia, adatta alla difesa e al combattimento anche contro più avversari.
Le cronache giapponesi mostrano come questo ruolo non fosse puramente teorico: nel XII secolo, durante le guerre Genpei, Tomoe Gozen viene descritta nei racconti dell’Heike Monogatari come una guerriera capace di combattere a cavallo e guidare uomini in battaglia, un fatto riportato non come eccezione leggendaria ma come parte di una realtà militare possibile in quel contesto storico.
Secoli più tardi, nel periodo Sengoku, figure come Ii Naotora, pur non combattendo sempre in prima linea, dimostrano come le donne samurai potessero esercitare anche autorità politica e militare, amministrando territori e garantendo la sopravvivenza del clan in tempi di crisi.
Ancora nel XIX secolo, durante la guerra Boshin, Nakano Takeko guidò un’unità femminile armata nella difesa del dominio di Aizu, incarnando una tradizione che non era mai del tutto scomparsa.
Questi esempi non servono a costruire un mito eroico, ma a mostrare come la società dei samurai prevedesse, in determinate condizioni, un ruolo attivo e armato per le donne, soprattutto nella difesa della famiglia e dell’onore del casato.
La loro presenza, ampiamente riconosciuta nella storiografia giapponese, è stata a lungo marginalizzata nei racconti occidentali, contribuendo a una visione incompleta e semplificata della storia dei samurai.
L'arma per antonomasia: la Katana
Le katane, simbolo più noto della classe samurai, non erano solo armi da taglio, ma oggetti di grande valore culturale e spirituale.
Ogni spada era considerata quasi una entità vivente: i maestri armaioli la forgiavano con cura artigianale, combinando acciai diversi e tecniche tradizionali tramandate per generazioni, e spesso le spade venivano dedicate a divinità o a persone care.
Per questo motivo era comune dare un nome alla katana, un po’ come se possedesse un’identità propria, che ne riflettesse la forza, la bellezza o il ruolo nel destino del suo possessore.
Alcune spade, tramandate nei musei o nelle collezioni private in Giappone, sono diventate leggende:
- la Masamune, forgiata dal celebre maestro del XIII secolo, è considerata un capolavoro per nitidezza della lama e perfezione estetica;
- la Muramasa, famosa per la sua affilatura estrema e legata a racconti di sanguinosi duelli, è avvolta da un alone di mito e superstizione;
- altre spade, come la Kiku-ichimonji, sono note per essere state utilizzate da figure storiche come Oda Nobunaga e Toyotomi Hideyoshi, diventando simboli del loro potere.
Dare un nome alla katana era un riconoscimento della sua importanza nella vita del samurai, uno strumento di guerra, custode dell’onore della famiglia e ponte tra la dimensione materiale e quella spirituale del guerriero.




