
Come Usare le Particelle Giapponesi に (ni) e で (de)
29/04/2025- Casa
- /
- Lingua Giapponese
- /
- Storia e Origine Dei...
La cucina è parte integrante della cultura di un paese e nel caso del Giappone essa si presenta come un raffinato intreccio di estetica, stagionalità, spiritualità e tecnica.
Comprendere i nomi dei piatti più iconici, la loro origine e la loro evoluzione, ci permette di scoprire una parte fondamentale della cultura giapponese.
In questo articolo vedremo cinque piatti emblematici e per ciascuno analizzeremo l'etimologia del nome, l’origine del piatto, e la sua evoluzione storica e culturale.
寿司 (Sushi)
“Sushi” (寿司) è un termine oggi associato alla celebre combinazione di riso e pesce crudo o cotto. Ma il significato originale era molto più vicino a “pesce fermentato con riso”, e indicava un metodo di conservazione, non un piatto da consumare subito.
La forma attuale “寿司” è un ateji: un uso fonetico di kanji che normalmente hanno altri significati: 寿 (su) significa infatti "longevità", 司 (shi) significa "amministrare" o "servire".
Ma allora perché vennero usati questi kanji? Questi kanji vennero adottati per la loro valenza estetica, ma originariamente la parola sushi veniva scritta con “鮨” o “鮓”, due caratteri antichi cinesi usati per indicare pesce fermentato.
“鮨” è attestato in testi cinesi della dinastia Han e probabilmente derivato da una combinazione di “pesce” e “cibo acido”. In Giappone, il termine si adattò e cominciò a indicare piatti fermentati con riso (narezushi).
Le origini del sushi risalgono al Sud-est asiatico, dove si sviluppò una tecnica per conservare il pesce utilizzando riso e sale. Intorno al IV o V secolo d.C., si diffuse una preparazione chiamata narezushi. Il pesce veniva salato e poi pressato nel riso, che fermentava nel tempo. Dopo alcuni mesi, si consumava solo il pesce, mentre il riso veniva scartato.
Quando questa pratica arrivò in Giappone, iniziò un lento processo di trasformazione.
Nei secoli successivi, in particolare durante i periodi Heian (794-1185) e Muromachi (1336-1573), il sushi cominciò a cambiare forma. La fermentazione venne abbreviata e si iniziò a mangiare anche il riso insieme al pesce.
L’uso dell’aceto di riso permise di ottenere un sapore simile a quello fermentato, ma con una preparazione molto più rapida. Così nacque lo hayazushi, che segnò il passaggio da una tecnica di conservazione a un vero e proprio piatto da servire.
Durante il periodo Edo, tra il 1603 e il 1868, il sushi assunse una forma ancora più riconoscibile. A Edo, l’attuale Tokyo, la vita cittadina era intensa e dinamica. In questo contesto urbano e vivace nacque il nigirizushi, considerato la base del sushi moderno.
Il merito è attribuito a Hanaya Yohei, un cuoco che inventò un modo pratico ed elegante di preparare il sushi: modellava a mano una porzione di riso condito con aceto e vi posava sopra una fettina di pesce crudo o leggermente scottato. I venditori di strada offrivano questo cibo semplice ma raffinato a una clientela che cercava piatti rapidi da consumare. Il pesce proveniva direttamente dalla baia di Edo e includeva varietà come tonno, anguilla, calamaro e gamberi.
Per lungo tempo, il sushi rimase una tradizione profondamente legata al Giappone. Dopo la Seconda Guerra Mondiale, la diffusione della cucina giapponese all’estero cominciò ad accelerare. Negli anni Sessanta e Settanta, si affermò in alcune città americane, come Los Angeles e New York, grazie all’apertura di ristoranti giapponesi.
Alcuni chef adattarono le ricette ai gusti locali. Nacque così il California roll, con avocado e granchio, in cui il riso veniva posto all’esterno per rendere il piatto più accessibile al pubblico occidentale.
Negli ultimi decenni, il sushi ha conosciuto una popolarità straordinaria in tutto il mondo. Si trova nei ristoranti di lusso come nei supermercati, e viene interpretato in mille varianti, alcune fedeli alla tradizione, altre decisamente creative.
Pur avendo subito molte trasformazioni, continua a rappresentare un equilibrio tra estetica, freschezza e precisione nella preparazione, valori che restano al centro della cucina giapponese.

天ぷら (Tempura)
La tempura è un piatto di frittura leggera: verdure, crostacei o pesce immersi in una pastella di farina e acqua ghiacciata, fritti rapidamente in olio vegetale. È noto per la sua leggerezza, croccantezza e estetica visiva.
La parola “tempura” ha origini europee. Proviene dal portoghese tempero (condimento).
Un'altra teoria viene fatta risalire ai missionari portoghesi, sarebbero stati loro nel XVI secolo a introdurre l’idea di friggere cibi in pastella.
I missionari cristiani dell’ordine dei Gesuiti, arrivati a Nagasaki, cucinavano infatti pietanze fritte nei giorni di astinenza dalla carne, durante i cosiddetti “quatuor tempora” , un termine latino che indicava i “tempi” liturgici. Da qui deriverebbe il nome tempura, che i giapponesi associarono a questa tecnica culinaria.
I giapponesi integrarano il piatto nella loro cultura, chiamandolo con il nome attuale. Il termine fu poi scritto 天ぷら, con dei caratteri usati per la loro pronuncia simile, non per il significato: 天 (ten) = cielo, ぷら = fonetico (hiragana per pura).
Durante il periodo Edo, soprattutto a partire dal XVII secolo, la tempura divenne un cibo da strada molto popolare a Edo (Tokyo). I venditori ambulanti la friggevano davanti ai clienti, servendola caldissima, spesso su riso (tendon) o con noodles.
Tra gli ingredienti più comuni ci sono gamberi, calamari, pesce bianco, zucca, melanzane, shiso e funghi, tutti tagliati in pezzi piccoli per permettere una cottura veloce.

ラーメン (Ramen)
Il ramen è una zuppa con noodles serviti nel brodo, con carne, uova, alghe, germogli e altri condimenti. È un piatto che ha assunto uno status quasi religioso in Giappone, con competizioni, guide specializzate e cultori accaniti. Etimologia
La parola ramen viene dal cinese 拉麺 (lāmiàn), dove: 拉 (la) = tirare, 麺 (miàn) = noodle/pasta. Questo si riferisce alla tecnica cinese di allungare e tirare la pasta a mano.
Nel passaggio al giapponese, il termine fu reso in katakana ラーメン, privo di kanji propri, segno della sua origine esterna.
Il ramen cominciò a diffondersi in Giappone nel tardo XIX secolo, durante il periodo Meiji, quando il Paese si aprì ai contatti con l’estero. I primi ristoranti che servivano noodles in brodo sul modello cinese nacquero nei porti e nei quartieri frequentati da lavoratori e immigrati, soprattutto a Yokohama.
All’epoca era spesso chiamata "soba cinese" (anche se non ha nulla a che vedere con la vera soba giapponese fatta di grano saraceno). Il vero boom del ramen si ebbe nel dopoguerra, quando il Giappone era devastato dalla fame e il grano americano veniva distribuito in grandi quantità.
Le tagliatelle di frumento, economiche e sazianti, divennero così un alimento di base. Intorno agli anni ’50 e ’60, in molte città giapponesi nacquero varianti regionali che combinavano tipi diversi di brodo, condimenti, tagli di carne e verdure.
Le principali tipologie di ramen che si affermarono includono:
- Shoyu ramen: (a base di salsa di soia) nato a Tokyo, dal gusto equilibrato.
- Miso ramen: tipico di Hokkaido, più corposo e nutriente.
- Shio ramen (a base salata, più chiara): molto delicato, una delle versioni più antiche.
- Tonkotsu ramen: originario di Kyushu, realizzato con un brodo denso e lattiginoso di ossa di maiale, ricco e intenso.
Nel 1958, un’altra svolta: Momofuku Ando, fondatore di Nissin Foods, inventò il ramen istantaneo, rendendo il piatto accessibile a chiunque in pochi minuti. Il suo successo fu planetario. Nel 1971 inventò anche il Cup Noodles, che portò il ramen in ufficio, a scuola, perfino nello spazio.
Oggi il ramen è un piatto di culto. In Giappone esistono migliaia di ristoranti specializzati, con chef che dedicano la vita alla creazione del brodo perfetto.
Esistono anche ramen gourmet con ingredienti pregiati, accanto alle versioni più semplici ed economiche. La cultura del ramen è così ricca che in alcune città esistono musei dedicati, come il Shin-Yokohama Ramen Museum.

お好み焼き (Okonomiyaki)
Okonomiyaki significa letteralmente “ciò che ti piace, grigliato”. È un piatto a base di una pastella di farina e acqua, mescolata con verza, carne, uova e altri ingredienti a piacere, e cotta su una piastra (teppan). In giapponese questo piatto si scrive お好み (okonomi) = ciò che preferisci (dal verbo konomu, "piacere"), e 焼き (yaki) = grigliato, cotto su piastra.
Il nome attuale si è diffuso nel XX secolo, l’origine dell’okonomiyaki è però complessa. Alcuni storici la fanno risalire a ricette simili già presenti nel periodo Edo (1603–1868), come il funoyaki, una sorta di crêpe dolce salata preparata a base di farina, acqua e miso.
Durante il periodo Meiji e soprattutto Taishō (fino agli anni ’30), comparvero versioni più evolute vendute in strada, ma fu durante la Seconda Guerra Mondiale che l’okonomiyaki divenne popolare come piatto economico e nutriente: bastava una base di farina, cavolo e qualche ingrediente disponibile, cotto su una piastra.
La versione più comune oggi è composta da un impasto a base di farina, uova, acqua o brodo (dashi), cavolo tritato e altri ingredienti a piacere come carne (spesso pancetta), gamberi, calamari, cipollotto, tenkasu (ritagli di tempura), formaggio.
L’impasto viene cotto su una piastra calda (teppan) fino a ottenere una frittella dorata e compatta. Sopra, si spalma la salsa okonomiyaki (simile alla salsa Worcestershire ma più dolce e densa), si aggiungono maionese giapponese, alghe in polvere (aonori) e scaglie di tonnetto secco (katsuobushi), che si muovono con il calore.
Ci sono due stili dominanti:
- Stile del Kansai (Osaka): l’impasto viene mescolato tutto insieme prima della cottura. È lo stile più diffuso in Giappone e anche all’estero.
- Stile di Hiroshima: gli ingredienti vengono stratificati uno sull’altro sulla piastra, non mescolati. Include quasi sempre yakisoba (spaghetti saltati) al centro del piatto e spesso un uovo alla piastra in cima. È più complesso e scenografico da preparare.

味噌汁 (Miso Shiru)
Il Miso shiru o, zuppa di miso, è la base della dieta quotidiana giapponese. Si prepara sciogliendo la pasta fermentata di soia (miso) in un brodo di pesce o alghe (dashi), spesso con l'aggiunta di tofu, verdure, funghi o alghe.
I kanji della zuppa di miso sono 味噌汁. La parola miso è composta da 味 (sapore) e 噌 (fermentare). Deriva probabilmente dal cinese medievale jiang, pasta fermentata di soia. 汁 (shiru) invece significa zuppa, una parola arcaica e ancora viva in termini come tonjiru (zuppa di maiale).
Il primo miso fu introdotto in Giappone dalla Cina già tra l’VIII e il IX secolo, durante il periodo Nara e Heian. Inizialmente veniva consumato come condimento o conservato in blocchi solidi, più simile a un cibo da sgranocchiare che a un ingrediente da sciogliere nel brodo. Durante il periodo Kamakura (1185–1333), quando la classe dei samurai cominciò ad affermarsi e l’alimentazione si fece più funzionale e sobria, il miso divenne un alimento di uso quotidiano, facilmente trasportabile e ricco di energia.
In questo contesto nacque l’uso di sciogliere il miso in acqua calda o brodo, creando una zuppa semplice, nutriente e di facile preparazione. La zuppa di miso si affermò definitivamente come parte essenziale della cucina domestica nel periodo Muromachi (1336–1573), quando la fermentazione del miso si perfezionò e si diffuser diversi tipi di miso tra cui quello bianco, rosso, scuro, dolce e salato.
In quel periodo iniziò anche a prendere forma il pasto tradizionale giapponese, con riso, zuppa e contorni, conosciuta come ichiju-sansai (“una zuppa, tre piatti”).
Durante il periodo Edo (1603–1868), la produzione di miso aumentò notevolmente, con varietà regionali sempre più marcate. Ogni zona del Giappone cominciò a sviluppare il proprio stile di miso, influenzato da clima, materie prime e preferenze locali.
Parallelamente, la zuppa di miso si radicò nelle abitudini quotidiane delle famiglie giapponesi, diventando parte del primo pasto della giornata, servita spesso insieme al riso e al pesce.
Oggi, la zuppa di miso è ancora presente in quasi ogni casa e ristorante in Giappone, considerata non solo un alimento nutriente ma anche un simbolo della cucina casalinga.
